Ministero dell'istruzione e del merito

LE DONNE TRA PARITÀ E DIRITTI

Il 24 Novembre, nella classe VA Liceo Scientifico, la prof.ssa di filosofia e storia Elisabetta Fiore ha organizzato una lezione di educazione civica con l’intervento della docente di diritto ed economia Emanuela Lattanzi, dedicata all’emancipazione femminile e alla presa di coscienza della parità di diritti tra sessi, passando dalle origini del femminismo, con particolare riferimento alle suffragette e ai cruciali sviluppi delle guerre mondiali, fino ai giorni nostri.

È stato posto l’accento sull’importanza dell’ottenimento tortuoso e sofferto del suffragio universale, che desse finalmente rappresentanza politica e istituzionale alle donne. La prof.ssa ha illustrato la tematica attraverso alcuni esempi e testimonianze tratti dal romanzo Pane nero di Miriam Mafai, il quale fornisce un quadro sociale della condizione femminile nel ventennio fascista, con la conseguente sentita partecipazione delle donne italiane alla Resistenza e alla delineazione del nuovo assetto repubblicano. Esse, infatti, sono entrate per la prima volta nel 1946 a far parte della vita politica sia come elettrici sia come elette: ciò avvenne prima in occasione delle elezioni amministrative e poi del Referendum istituzionale e dell’elezione dell’Assemblea costituente del 2 giugno. Il 25 giugno 1946 si riunì per la prima volta l’Assemblea costituente e ben 21 donne hanno fatto parte di quel gruppo di eletti che potevano sedere ufficialmente nei banchi della politica. L’ingresso di queste 21 donne nello scenario politico nazionale fece sì che le istanze del mondo femminile, fino ad ora delegate agli uomini, potessero essere portate avanti in prima persona da chi fino a poco prima era senza voce.

È evidente la forte attualità della questione discussa durante la lezione, poiché la strada per poter realizzare compiutamente la parità e l’emancipazione tra sessi è ancora lunga e difficoltosa. Un esempio emblematico è quanto accaduto in Islanda il 24 ottobre di quest’anno. Nel Paese al primo posto nel mondo per la parità di genere le donne islandesi hanno deciso di protestare. Circa 40 organizzazioni hanno indetto uno sciopero di un’intera giornata contro il divario di retribuzione tra uomini e donne, e più in generale hanno manifestato contro la disparità e violenza di genere, con lo slogan “Questa la chiamate uguaglianza?”. Vi hanno aderito migliaia di donne e di persone di genere non binario ed è stata prevista sia un’interruzione del lavoro retribuito che di quello non retribuito, come il lavoro domestico e di cura, impegno che nella maggior parte delle famiglie ricade sulle donne.  La prima ministra Katrín Jakobsdóttir ha scelto di partecipare a tale evento per “mostrare solidarietà alle donne islandesi”, ma soprattutto perché ritiene che sia inaccettabile che esista ancora il divario salariale basato sul genere nel 2023. Sono passati 48 anni dal primo sciopero delle donne islandesi che il 24 ottobre del 1975 bloccò l’isola per «dimostrare il lavoro indispensabile delle donne per l’economia e la società islandese» e per «protestare contro la discrepanza salariale e le pratiche di lavoro sleali». Nel 1975 la mobilitazione coinvolse il 90% delle donne lavoratrici d’Islanda portando in piazza nella capitale Reykjavík oltre 25 mila donne, su una popolazione complessiva di 220 mila persone. L’anno dopo il parlamento islandese votò una legge per la parità salariale tra uomini e donne. L’Islanda è considerata uno dei paesi più avanzati al mondo in termini di uguaglianza di genere ed è stata la nazione più virtuosa secondo il Global gender gap index (indicatore del divario di genere) del World economic forum per quattordici anni consecutivi, ma in alcuni settori e professioni, sostiene l’ufficio statistico islandese, le donne guadagnano almeno il 20 per cento in meno rispetto ai colleghi uomini. Indubbiamente queste donne rappresentano un modello da seguire; se si vuole migliorare la società occorre mobilitarsi e non accettarne passivamente le condizioni imposte.

 Il dibattito si è poi concluso riflettendo sul messaggio del recente successo ottenuto dal film della Cortellesi “C’è ancora domani”, su come il personaggio di Delia possa rappresentare l’esperienza di molte donne, ragazze, madri e mogli dei nostri giorni, silenziate violentemente dal contesto familiare e sociale, senza apparente via di uscita. L’individualità femminile, che sembra scomparire in questo clima di soprusi, vessazioni e violenze, esprime tutta la sua forza attraverso il simbolo del “canto a bocca chiusa” che Delia intona alla figlia, assieme a tutte le donne votanti, anche davanti al marito Ivano: una melodia muta, che manifesta l’aspirazione alla libertà e  alla parità, nonché la necessità di esprimere con ogni mezzo possibile questi desideri, che non dovrebbero mai essere dominati da chi vuole privare le donne della loro voce, allora come oggi. 

Federica Rossi  V A LS

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